Resilienza, uomo e ambiente- seconda parte

Resilienza, uomo e ambiente- seconda parte

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C’è un limite alla resilienza dell’uomo, sia individualmente che in società, nell’impossibilità di sostenere una pressione continua e indefinita. Tale limite non è solo dell’uomo ma anche della natura, intesa come sistema complesso nel quale l’umanità è partecipe attiva insieme alle varie forme, viventi e non del mondo. In termini economici si parla di crescita illimitata, ad esempio dello sfruttamento delle risorse ambientali, che comporta inevitabilmente l’impossibilità di ripristinare le risorse perse.

Un modello sociale fondato su una crescita che divori l’uomo e ciò che lo circonda placando, solo temporaneamente, la fame è destinato, inevitabilmente, a non ritrovare l’equilibrio. Ma se alla resilienza si affianca un sano e moderato cambio del modello di vita che riproponga una visione non fondata sullo sfruttamento intensivo e scellerato delle risorse (individuali e naturali) è possibile invertire stabilmente una condizione.

Essere resilienti non significa solo sapersi opporre alle pressioni, ma implica sempre una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, per la costruzione, o meglio la ricostruzione, di un percorso di vita.

Ma come abbiamo visto il discorso si può – e si deve – allargare alla natura, alle problematiche ambientali, al cambio climatico, al buco dell’ozono piuttosto che all’esaurirsi delle risorse fossili.

L’uomo deve cambiare il modo di porsi a sé stesso e con ciò che lo circonda, deve essere positivo e, però, anche, consapevole che questo inestimabile dono gli permette di lottare, oltre ogni previsione, ma non necessariamente di avere la certezza della vittoria.

La resilienza non ci rende invincibili e non è neppure sempre presente, vi sono situazioni o eventi troppo gravosi da sopportare che generano un’instabilità duratura e pervasiva. Occorre “allenarsi” alla resilienza, svilupparne le caratteristiche fondamentali.

L’economista Franca Cantoni individua le caratteristiche che permettono di sviluppare una propensione alla resilienza:

l’ottimismo, che ci permette di cogliere il lato buono delle cose;

l’autostima, che conduce ad essere meno autocritici e più tolleranti alle critiche altrui;

l’avere emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca;

ultimo ma non ultimo, il supporto sociale, ovvero la rete di persone con la quale si è legati da un intreccio di amore e di cure, di stima e apprezzamento e con la quale sia possibile realizzare un percorso di racconto delle proprie sventure e di liberazione dal peso della sofferenza.

Non abbiamo certezza che le condizioni elencate siano in grado di sviluppare la propensione alla resilienza ma sicuramente sono aspetti che generano un positivo approccio alla vita, se concretamente attuati da tutti, possono essere in grado di trasformare la realtà.

Aspetto quest’ultimo ormai necessario come ribadito nella conferenza mondiale sul clima COP26 nella quale è apparso chiaro che si debba agire per la protezione del pianeta a vantaggio di tutti e della solidarietà con coloro che sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Lamberto Tagliasacchi

Voce Andrea Di Cosola

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