Una piccola speranza in più

Una piccola speranza in più

L'importanza del rapporto medico paziente

Un contributo di Anna Milici, presidente dell’Associazione Linfoamici.

Quando si vive un’esperienza come quella di una malattia e di un percorso terapeutico più o meno lungo, accade che per fortuna, qualche cosa la si dimentica.
O la si chiude a chiave da qualche parte. Io l’ho fatto con gran parte del mio percorso, per scelta.

Eppure ogni volta che mi viene chiesto, o che ritengo sia importante per qualcuno  aprire quella porta, l’eco è sempre lo stesso. Sempre la stessa voce, con lo stesso tono, con le stesse parole.

Sono quelle che ha usato il Dr X per presentarmi la mia malattia. La mia nuova realtà. Quello che sarebbe stato il mio nuovo mondo.

È vero che qualunque parole avesse usato, l’effetto sarebbe stato più o meno quello. Ma non proprio quello.

La malattia, questo tipo di malattia,non spaventa tanto per il disagio o per la sofferenza alla quale ti preparano: questa malattia spaventa tanto perché, inutile nasconderselo, non se ne conosce l’esito.

È una grande incognita.

E allora accade che le parole usate dai medici all’improvviso smettono di essere soltanto  parole e diventano tutto quello che hai.
Che cerchi in ogni piccola parola sussurrata, in ogni tono percepito, in ogni sguardo, qualcosa in più.

Una piccola speranza in più. Una rassicurazione, un conforto.

Nanni Moretti in uno dei suoi film più belli urlava “le parole sono importanti”.

Ed è vero.

Ma fortunatamente (o no dipende) non comunichiamo soltanto con le parole.

E spesso, per tanti mesi una delle cose che ha pesato di più in assoluto, è stato il sentire, percepire che di me si vedesse soltanto la malattia.

Come se il resto, una vita intera, fosse improvvisamente diventata invisibile.

La comunicazione tra medico e paziente è uno degli elementi indispensabili quando si affronta una malattia oncologica. Perché il paziente la vive come una battaglia a due, nella quale però il sentirsi solo può essere una delle sensazioni più brutte.

Il medico è la persona che sa, che può anticipare, capire, alla quale non si deve nascondere: diventa un complice.
Non c’è nulla che fa più paura ad un malato che leggere la paura negli occhi del proprio medico.
E i medici di paure ne hanno tante: della malattia, di fallire, di perdere.

Il problema è che tutte queste paure, a volte arrivano, dove già ce ne sono molte.

La comunicazione umana interattiva, a mio avviso è un modo diverso di comunicare. È una carezza capace di accompagnare le parole, anche quelle più brutte. Anche quelle che non vorremmo mai sentir dire.

È come parlare direttamente da cuore a cuore. Senza volti, senza storie, senza paure.

Probabilmente se il medico che mi ha comunicato che avevo il cancro mi avesse guardata negli occhi, stretto le mani, sorriso, oggi la mia storia non sarebbe cambiata più di tanto.
Chissà.
Però forse sarebbe stato più facile aprire quella porta di tanto in tanto, e tirarci fuori tutte le cose belle che, nel dubbio e nella paura, ho chiuso a chiave insieme a tutto il resto.

Anna Milici

Copertina a cura di Maddalena Sarotto

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