La “potatura” dei collegamenti neuronali in età adulta

Produrre più connessioni neuronali del necessario, per poi sfrondare quelle inutili e ottenere l’architettura ottimale: è questo l’approccio utilizzato dal cervello per svilupparsi, anche in età adulta.

Lo hanno scoperto Rusty Gage e colleghi del Salk Institute in uno studio apparso sulla rivista “Nature Neuroscience” in cui hanno potuto seguire in tempo reale lo sviluppo di neuroni di topi adulti.
Dalla sperimentazione è emerso anche un altro dato fondamentale: la nascita di nuove cellule cerebrali è molto più simile a quella embrionale di quanto ritenuto finora, e ciò può avere importanti implicazioni per la comprensione dell’origine di alcune malattie psichiatriche.

La maggior parte delle cellule cerebrali del nostro cervello si forma prima della nascita, ma non tutte, come si credeva fino a poco tempo fa. Come dimostrò anni fa proprio il laboratorio di Gage, in alcune aree del cervello dei mammiferi si sviluppano neuroni anche nell’età adulta.

In questo studio, Gage e colleghi si sono focalizzati sul giro dentato, un’area cerebrale in cui si formano nuovi ricordi.

Grazie a una nuova tecnica di microscopia, hanno osservato per alcune settimane la crescita dei neuroni.
Hanno così scoperto che quando i topi erano in un ambiente ricco di stimoli, le nuove cellule crescevano rapidamente, sviluppando molte ramificazioni, chiamate dendriti, per collegarsi ai neuroni vicini. Quando invece i topi erano in ambienti vuoti i nuovi neuroni crescevano lentamente e sviluppavano pochi dendriti.
In entrambi i casi, tuttavia, i dendriti delle nuove cellule subivano uno sfoltimento.

“L’aspetto più sorprendente è che le cellule che inizialmente sono cresciute più velocemente e sono diventate più grandi sono state notevolmente sfoltite, al punto da assomigliare alla fine a tutte le altre cellule”

Ha spiegato Tiago Gonçalves, coautore dello studio.

La domanda che i neuroscienziati si pongono ora è: perché sprecare energia per formare collegamenti neuronali che non sono necessari?
Un’ipotesi formulata dai ricercatori è che quanti più sono i dendriti da cui si parte, maggiore è la possibilità di sfoltire esattamente i dendriti corretti.

Il risultato potrebbe avere numerose conseguenze pratiche per il trattamento delle malattie psichiatriche, poiché disturbi quali l’Alzheimer, l’epilessia e l’autismo sono collegati a deficit nello sviluppo dei dendriti.

“Ci potrebbero essere ricadute anche nella medicina rigenerativa: si potrebbero sostituire le cellule in quest’area del cervello con nuove cellule staminali e farle sviluppare allo stesso modo? È ancora presto per dare una risposta”

Ha concluso Gonçalves.

Tratto da “Le Scienze” del 4 maggio 2016

Qui di seguito il link all’articolo originale:
https://goo.gl/PLzBXM

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