L'uomo che sussurrava ai cani
Quando l’uomo ha “inventato” il cane, il mondo è diventato un posto migliore. Questo accade all’incirca 15mila anni fa, ma noi non ne parleremo perché il concetto è prettamente umano.
I cani non parlano la nostra lingua, anche se la imparano. Benché siano capaci di risolvere problemi basilari, prendere iniziative, scegliere, discernere situazioni ed avvertire pericoli, non parlano e non calcolano.
Il calcolo e l’astrazione sono aspetti tipicamente nostri. I cani non sanno farlo, sanno reagire ad uno stimolo con uno stato d’animo, conoscono la paura, l’eccitazione, il piacere, la gioia, la gratificazione e rispondono nella loro lingua a questa serie di stimoli con una serie di azioni. Queste sono dettate dalla loro natura che ha un bacino di anni e anni di evoluzione e routine comportamentali.
A volte non li capiamo e viceversa, e quindi si crea una frattura.
Noi esseri umani abbiamo il “domani”, i cani no. Non esiste astrazione per i nostri amici: quello che accade in quell’esatto istante è tutto il loro mondo. Noi lo abbiamo chiamato “qui e ora”, la natura lo chiama sopravvivenza.
Ed ecco che ci troviamo ad ammirare assorti una coccola, un gioco tra amici a quattro zampe, una corsa in un prato, vissuti con una foga a volte quasi sconsiderata, non vedendone il parallelo con il nostro mondo.
Se il vostro mondo finisse tutto lì, senza un seguito, solo in quel momento anche per voi una carezza, un gesto, un pasto, assumerebbero lo stesso enorme valore. E forse riscopriremmo quella voglia di vivere appassionatamente, voglia che, presi dai pensieri di questa selvaggia e caotica vita, spesso ci sfugge.
Questa è la parte poetica che della cinofilia viene snobbata… e anche un po’ della vita.
A volte la vita del binomio uomo-cane porta il soggetto “sviluppato” a dover scontrarsi con quella che è la propria natura, istinti atavici che serbiamo dentro di noi e troppo spesso censuriamo in favore di cose più “umane”. Ci emozioniamo troppo poco e calcoliamo molto di più.
Il cane lo sa e continua ad emozionarsi ed emozionarci lo stesso, pur vivendo i grandi drammi del mondo moderno: quelle macchine che sfrecciano, i forti rumori, la solitudine. Una volta le case erano popolate, bisognava fare la guardia a quel branco o a quel gregge, bisognava difendersi dai lupi. Ma mentre i cugini lupi sono rimasti sulle montagne, al freddo, a campare alla giornata come i clochard della loro specie, ai nostri amici sono rimaste case calde, confortevoli ma eternamente vuote.
Tutti guardano il danno fisico, pochi quello morale, soprattutto per una specie che non parla.
E così tu puoi non dargli cibo per tre giorni o acqua per due, fargli sopportare il freddo e gli stenti, farlo correre per chilometri senza farlo affaticare, ma sai come si distrugge un essere nel profondo della sua anima? Relegandolo nella solitudine della superficialità del “c’è anche domani”. Lui, che un domani non ha.
Soprattutto in questo momento così complesso per via del Covid, un augurio nasce spontaneo, che tutti possiamo imparare ad emozionarci ancora come fanno i nostri amici a quattro zampe. Loro ci insegnano senza mai giudicare, a vivere il momento con intensità. Dare quella carezza, porgere la zampa, condividere un boccone ed emozionarsi del grande dono del presente, che scaccia un po’ i pensieri del domani e ci porta nella dimensione giusta, l’unica che c’è. Qui e ora.