Sport Stories
di Momo Niang
Giacobbe Fragomeni
La fenice italiana
“Dentro un ring o fuori non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra.”
(Muhammad Alì).
Oggi ci avviciniamo ad uno sport che suscita tanto amore negli appassionati quanto “incomprensione” in coloro che non ne hanno mai colto il significato e l’essenza.
Parliamo di pugilato.
Il pugilato è uno sport che va oltre i semplici pugni che due persone all’interno di un ring si tirano; è sacrificio, è rinuncia, è dolore ed è storia… ma più di ogni cosa è coraggio. È il coraggio di guardarsi dentro, di vedere ed affrontare le proprie paure e di sfidarle vedendole svanire.
“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c’era nessuno”
(Martin Luther King Jr).
Ogni persona che sia salita su un ring, nel momento in cui sente la campana suonare prova una sensazione unica; è solo con se stesso, il connubio di emozioni come paura e rabbia si fa incredibile. Il corpo diventa sempre più vivo, energico. Ogni pugile però sa che se si fa trascinare dall’emozione, difficilmente porterà a casa la vittoria; bisogna cercar di non far sì che siano le emozioni a controllare i suoi movimenti, ma che sia lui a comandarle e ad indirizzarle nella maniera più utile per il suo fine. Ci vuole estrema lucidità.
Se penso alla boxe, i nomi di incredibili persone e campioni sono tantissimi: Muhammad Alì, Mike Tyson, “Sugar” Ray Leonard, Gorge Foreman, Joe Frazier… ma oggi parleremo di un uomo meno conosciuto, meno talentuoso e meno titolato di tutti i sopra citati ma non per questo meno incredibile e coraggioso.
Parliamo di Giacobbe Fragomeni.
Fragomeni nasce a Milano il 13 Agosto del 1969, cresce e vive nel quartiere Stadera, la classica “terra di nessuno” di periferia delle grandi città.
La sua infanzia e adolescenza è incredibilmente più dura di tutti i pugni che potrà mai ricevere su un ring; povertà assoluta con il padre pregiudicato, alcolizzato, dipendente dal gioco, e violento nei confronti della madre e delle sorelle di Giacobbe.
Cresce frequentando la vita da periferia e venendo ingabbiato in un mondo che in quelle zone così dimenticate trova prede troppo indifese; entra nel tunnel della droga e dell’alcool finché dopo la morte della sorella (malata di HIV, uccisa da una dose mal tagliata) decide che è ora di cambiare, di risalire la china.
Incontra il mondo della boxe per la prima volta quando si iscrive alla storica palestra milanese di pugilato “Doria” per rimettersi in forma e perdere chili.
Presto però capisce che quel mondo lo avrebbe cambiato, lo avrebbe aiutato e difeso da quella parte tanto oscura che lo stava divorando.
A 21 anni disputa il suo primo match da dilettante e lo vince.
Quella vittoria, quella prima vittoria gli lascia quel gusto dolce che probabilmente mai aveva provato: anche lui, così dimenticato e così solo, con quel passato, poteva farcela, poteva sconfiggere e vincere quei maledetti demoni. Lo faceva per la sua famiglia, per il suo futuro e per sé stesso.
Ecco cos’ha scandito i suoi 185 combattimenti ufficiali di cui 43 da professionista, durante i 25 anni di carriera.
Arriva ad incoronare il sogno più grande il 24 Ottobre del 2008, a 38 anni, quando sale sul tetto del mondo diventando campione del mondo WBC (la World Boxing Council, una delle 4 leghe mondiali del pugilato).
Per intenderci, ha vinto la stessa cintura indossata da Alì, Tyson, Frazier, Sonny Liston, Foreman, Holyfield, Lennox Lewis… partendo dalla periferia milanese, da solo.
Giacobbe è campione del mondo. Giacobbe è un campione nel mondo in due sensi: è finalmente riconosciuto dal mondo come campione, ma è anche un campione, una piccola parte del mondo che per una notte è riuscito farlo suo.
È la rappresentazione di tutti coloro che credono in se stessi e nei propri sogni, piccoli o enormi, ma che non smettono mai di crederci e soprattutto di darsi da fare per avvicinarcisi centimetro dopo centimetro faticando, mettendosi in discussione e cadendo innumerevoli volte ma senza mai perdere il coraggio di rialzarsi.