Un contributo di Paolo Stermieri
Fisica quantistica e comunicazione umana.
Un collegamento insospettabile.
Non si può parlare di fisica quantistica senza pensare a Niels Bohr o Werner Karl Heisenberg ed è proprio a quest’ultimo e al suo Principio di Indeterminazione che intendo riagganciarmi.
Detto in poche parole, questo principio stipula che di una particella elementare non è possibile conoscere simultaneamente posizione e velocità. Questo perché se illuminiamo un elettrone, per poterlo osservare, gli forniamo energia e impulso sotto forma di fotoni di luce e di conseguenza il nostro elettrone riceverà una piccola spinta che modifica il suo stato di moto.
Più lo si illumina con i potenti microscopi necessari all’osservazione è più gli si fornisce energia che fa cambiare la sua velocità e di conseguenza la sua quantità di moto (che è il prodotto della massa per la velocità). Non è possibile perciò conoscere con precisione dove l’elettrone si trova senza dargli una quantità di moto non determinabile, cosa che rende impossibile sapere con precisione e contemporaneamente la sua posizione e la velocità posseduta.
In altre parole non si può osservare il movimento di un corpo senza perturbarlo in qualche modo, ovverosia non esiste una osservazione che sia perfettamente neutra e che lasci inalterato l’oggetto osservato, ma si deve dire invece che l’osservatore non può mai essere considerato un semplice spettatore, bensì che il suo intervento nel misurare le cose produce effetti di alterazione, effetti non calcolabili e che introducono dunque una indeterminazione non eliminabile.
Tutto questo è molto interessante, direte voi che siete persone educate e pazienti (ancora per un po’).
Ma che cosa c’entra con la comunicazione umana? Ebbene se trasferiamo questo concetto in ambito psicologico vedremo subito una analogia e cioè l’individuo (l’elettrone) che sa di essere osservato non rimane inalterato bensì modifica il suo comportamento e come lo modifica? Lo fa nel senso di rendersi più piacevole, più gradevole, più accettabile.
L’uomo è il più socievole dei primati. Non si ha, infatti, notizia di raggruppamenti di scimmie che vadano oltre il centinaio di individui, perciò il suo istinto, il suo desiderio, la sua ricerca di accettazione, di inclusione, di riconoscimento fa parte integrante del suo bagaglio genetico, esattamente come le tartarughine alla schiusa delle uova si dirigono immediatamente verso la sopravvivenza, rappresentata dalle onde del mare e questo senza che nessuno lo abbia loro insegnato.
Ebbene, allo stesso modo, la persona umana mette in azione i suoi neuroni specchio, teorizzati da Giacomo Rizzolatti, per cercare e trovare fin dai primi istanti di vita un modo di farsi includere nel consesso umano.
Ne volete una riprova? Qualsiasi ostetrica o levatrice sa che se ad un neonato, appena uscito dal grembo della madre, si mostra la lingua questi risponderà a sua volta mostrando la propria, nel tentativo, per lui di importanza vitale, di uniformarsi, di non venire escluso dal gruppo e assicurare così la sua sopravvivenza. Questo istinto primordiale, questa ricerca di accettazione non avrà mai fine e sarà una costante irrinunciabile per tutta la vita.
Ciò viene confermato anche dagli studi di Bert Hellinger che, nelle sue leggi sistemiche della famiglia, mette al primo posto il “diritto di appartenenza”, questo entrare a far parte di un clan familiare che è la premessa indispensabile ad una esistenza riconosciuta. Ove questo riconoscimento fosse carente o addirittura venisse meno, assisteremo ad una sua ricerca affannosa ed inesausta, da parte di chi ne è stato fatto segno, con inevitabili ripercussioni, anche nella sua vita adulta, fatte di unioni precarie in quanto ricercate ed attuate con persone più o meno manifestamente inadatte, il tutto nel tentativo di rifuggire il senso del rifiuto e del conseguente isolamento che ne deriva.
Fate caso, quindi, al comunissimo fenomeno di sorprendere qualcuno che vi sta osservando e che cerca di farlo di nascosto da voi. Sta semplicemente applicando, in modo naturalmente intuitivo, ma, per quanto espresso fin qui, ben fondato, il Principio di Indeterminazione e lo fa allo scopo di ricavarne un’immagine di voi non alterata, il più possibile aderente alla vostra vera natura.
Siatene felici!
È un indice di interesse non superficiale, al quale voi, magari, finirete col rispondere con un comportamento analogo.
Ma è pur sempre comunicazione umana e se son rose, prima o poi, fioriranno…!!!