Una possibile relazione tra tensioni corporee e bisogni insoddisfatti.

Una possibile relazione tra tensioni corporee e bisogni insoddisfatti.

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Tratto da “Paura di vivere” e “Bioenergetica” di Alexander Lowen

Nella maggior parte del corpo degli adulti si possono evidenziare tensioni muscolari più o meno importanti, che possono essere il frutto di dolori emotivi avvertiti con continuità a partire dalla prima infanzia.

 

In questi casi le tensioni servivano a bloccare gli impulsi la cui espressione è stata troppo dolorosa.

Giusto per fare un esempio, per un bimbo è profondamente doloroso stendere le braccia quando non c’è nessuno ad accoglierlo, chiedere attenzione senza essere ascoltato o piangere quando nessuno lo rassicuri.

E così, irrigidendo le braccia, serrando le mascelle, contraendo la gola, ecc. il bambino può bloccare il desiderio e attenuare il dolore di un bisogno non soddisfatto, fino a soffocarlo del tutto.

 

Ma il bisogno insoddisfatto non svanisce: è stato solo represso, e da adulti (a meno di una profonda elaborazione emotiva) non potrà più essere espresso apertamente, ma rimarrà dentro, cristallizzato e apparentemente seppellito, ma presente.

 

Tutto questo accade perché inconsciamente si associa la sensazione (che non è più memoria, perché si opera il meccanismo della rimozione) del bisogno infantile insoddisfatto ad un dolore intollerabile e talmente spaventoso che occorre necessariamente rimuovere il ricordo.

 

Il bambino che mette in moto tali meccanismi diventa un “sopravvissuto” e – una volta adulto – non vuole più mettere in pericolo la sua sopravvivenza emotiva, ma non riuscirà ad eliminare una sensazione di disperazione di fondo.

 

Affrontare la propria disperazione è molto difficile, perché si è abituati a reprimerla e rimuoverla.

 

Affrontare la sofferenza, la stessa negata per anni, da’ la sensazione di cadere in un pozzo di dolore, dove “sicuramente “ si annegherà senza scampo.

Per evitare di annegare, la persona (il bambino prima, l’adulto poi) si controlla e evita in tutti i modi di lasciarsi andare, ma tale sforzo – divenuto cronico – richiede moltissima energia e fatica, e questo può lasciare segni sul corpo (da qui le tensioni).

 

Nel momento in cui questa disperazione arriva ad una soglia insopportabile, la persona cerca aiuto (generalmente da un terapeuta), perché ha la sensazione che non può aiutarsi da sola o “non ce la fa più”.

 

Quando si riesce, finalmente, prima ad ammettere e poi ad affrontare la propria disperazione, ecco che arriva il pianto, segnale dell’accettazione.

Da qui parte la “cura”.

L’accettazione del bisogno irrisolto passa attraverso il dolore, che però, vissuto in maniera adulta e consapevole, diventa uno strumento di guarigione, come un portale per una vera e profonda evoluzione coraggiosa, un viaggio alla scoperta del vero se.

Un viaggio ne’ breve ne’ facile, che ci riporta indietro al passato dimenticato, da cui siamo emersi pieni di cicatrici e chiusi nella corazza dell’autodifesa.

 

Man mano che la terapia (se corretta e adeguata) prosegue, impariamo, oltre alla conoscenza di se stessi, anche a identificare e poi a diminuire le tensioni, magari non eliminandole completamente ma di sicuro traendone un buon giovamento che può alleviare disturbi di cui abbiamo sofferto per anni.

 

Comitato Scientifico UPE

Voce di Chiara Lenzi

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