Perché si sbaglia nell’ascoltare una parola

Capire in modo sbagliato una parola che si ascolta – il classico “fischi per fiaschi” – è un fenomeno legato alle nostre aspettative su ciò che verrà detto, e, dal punto di vista neurologico, a una ridotta attività di un circuito cerebrale situato nel solco temporale superiore dell’emisfero sinistro che ha un ruolo critico nell’elaborazione dei suoni del discorso. Il circuito poco attivo è specificamente dedicato a cercare le differenze sonore fra ciò che ci aspettiamo e lo stimolo uditivo in arrivo. La scoperta, fatta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, è illustrata sul “Journal of Neuroscience”.

Il fraintendimento delle parole ascoltate è un’esperienza quotidiana che a volte può avere risultati comici e a volte spiacevoli malintesi, ma per chi ha problemi di udito, incorrere di frequente in percezioni errate può portare al progressivo isolamento e anche alla depressione.

Pur non essendo l’unico fattore coinvolto, la scoperta di questo correlato neurologico alle difficoltà uditive potrà in prospettiva suggerire strategie per migliorare la situazione di queste persone, ma anche migliorare la comprensione delle allucinazioni uditive in vari disturbi psichiatrici, come la schizofrenia.
Diversi studi hanno mostrato che la capacità di seguire un discorso anche  quando l’interlocutore parla molto velocemente o, ancora peggio, l’ambiente circostante è rumoroso, si fonda sulla nostra capacità di anticipare ciò che viene detto sulla base di piccoli indizi sonori. Le aspettative iniziali però possono a volte indurre in errore chi ascolta, convincendolo di avere sentito qualcosa che in realtà non è stato detto.

Finora si ipotizzava che il problema nascesse dal fatto che la rappresentazione sensoriale delle aspettative (ossia dei suoni che ci si aspetta di udire) e l’input sensoriale reale condividono dei suoni: in pratica, sentendo “fi”, il cervello conclude che si tratta della parola “fischi”, anche se quella pronunciata è “fiaschi”.

In realtà, attraverso una serie di esperimenti di brain imaging, i ricercatori hanno scoperto che la procedura è in qualche modo inversa. Il circuito nel solco temporale superiore cerca possibili differenze fra la parola attesa e ciò che percepisce, e se non ne trova abbastanza – per esempio perché un rumore di fondo ha coperto la “a” di “fiaschi” e magari anche qualche altra lettera – conclude che la parola attesa è quella giusta.

 

 

Tratto da “Le Scienze” del 13 giugno 2018

 

Di seguito il link allo studio citato nell’articolo:
http://www.jneurosci.org/content/early/2018/06/11/JNEUROSCI.3258-17.2018

 


 

 
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