La Paura, ieri come oggi – parte 2

La Paura, ieri come oggi - parte 2

Abbiamo visto cos’è e come può essere descritta la Paura dalla psicologia e della filosofia. In particolare abbiamo potuto constatare come la condizione più profonda e assoluta della paura sia la morte. Eppure sussiste una differenza sostanziale che contraddistingue le diverse rappresentazioni nella natura attribuita alla Paura: per Hegel è momento costitutivo per la costruzione dell’umano; per Freud è una esperienza che continuamente si reitera nell’umano parallelamente alla pulsione di vita; mentre per Sartre è l’essenza stessa della esistenza umana. C’è però un comune insegnamento nelle tesi hegeliane, freudiane e sartriane ossia vivere è organizzare, articolare, connettere forme, tutte operazioni possibili solo in rapporto al loro contrario, ossia al disorganizzarsi, al disarticolarsi, al fluidificarsi di tutte le forme.

Il coraggio di accogliere l’informe è condizione necessaria perché l’uomo possa dar forma alla vita, solo accogliendo la paura della morte, della negazione, si ha un’azione pienamente umana o, come afferma Sartre, “Un uomo è ciò che egli fa di ciò che gli altri hanno fatto di lui”.

In queste parole è sintetizzata la grandezza degli antichi greci che, come scrive Nietzsche, consiste nel fatto che essi hanno avuto il coraggio di guardare in faccia il dolore e di conoscere e sentire i terrori e le atrocità dell’esistenza. Ciò fu però possibile per la concezione che essi avevano della vita, non regolata dalla provvidenza divina ma dalla natura, innocente, che fa da sfondo al generarsi e dissolversi di tutte le vite. Non c’è qui la contrapposizione tra vita e morte, come nel pensiero cristiano, ma una contrapposizione tutta all’interno della natura, fra vita e vita, fra la vita della natura che esige la morte delle singole esistenze per vivere e la vita delle singole esistenze che deve allontanare la morte per vivere.

L’uomo d’oggi, a differenza dell’uomo dell’antica Grecia, vive spesso una paura globale e condivisa. I mass media quali TV e internet possono produrre effetti sulla personalità degli individui, singolarmente o collettivamente, effetti non sempre positivi e non sempre consapevoli. La capacità persuasiva di un messaggio che proviene dalla rete, è il risultato di un processo che è in grado di modificare l’atteggiamento mentale o il comportamento di chi lo riceve a causa della fonte, della sua credibilità, prestigio, del contenuto dell’informazione, e dalla reiterazione che predispongono il ricevente ad accogliere il messaggio secondo le componenti della sua personalità e secondo il peso del contesto sociale nel quale si trova a interagire.

Le emozioni di angoscia e timore in un processo di globalizzazione evocato e rilanciato dai media, producono una paura generale e, nonostante l’evoluzione tecnologica, il senso d’incertezza e sfiducia attanaglia l’uomo contemporaneo. La natura, oggi, sembra che si ribelli all’evoluzione tecnologica, ad ogni passo della quale avvengono conseguenze non sempre gestibili e spesso ignote che lasciano l’uomo interdetto. Questa condizione determina una incapacità di sentire il sé, il mondo interiore descritto da Agostino, Cartesio, Hegel, e produce una superficializzazione e una fascinazione all’esteriorità.

L’odierna pandemia ha reso plasticamente evidenti tutti questi aspetti ma la ricetta alla paura dell’uomo contemporaneo è la stessa dell’antico greco: volgere lo sguardo al sé e non avere paura dell’indeterminato, accogliere la contraddizione, la morte, portarla entro i limiti dell’uomo o, come affermano Socrate ed Epicuro, rispettare i propri limiti e non fare ciò che è contro natura, non avere paura della morte. Quindi accettarla come condizione propria e inscindibile dell’essere umano, riconoscerla, sentirla ma non permettere che sia essa a determinare le scelte, il modo di vivere e morire.

Lamberto Tagliasacchi

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