L’emozione nel razionalismo spinoziano

L’emozione nel razionalismo spinoziano

Con il termine razionalismo s’indicano tutte quelle dottrine che riconoscono nella realtà un principio intelligibile, la cui evidenza e conoscenza è raggiungibile col pensiero.

L’origine del pensiero razionale risale ai presocratici e persiste sino al medioevo con la differenziazione tra ragione e intelletto.

La critica filosofica, che assegna a Cartesio la paternità di questo filone di pensiero, individua in Spinoza uno dei principali esponenti.

Il filosofo olandese attribuisce al sapere umano i caratteri dell’universalità e della necessità a partire dalla garanzia di verità offerta dal patrimonio originario delle idee innate.

La natura è ambivalente, composta di aspetti materiali e spirituali, che non si possono separare nettamente, in quanto fanno parte di un’unica natura, di un’unica sostanza.

Nella nostra essenza spirituale, c’è qualcosa di diverso dagli animali che vivono di istinti. Nell’uomo c’è una specie di senso della giustizia, secondo cui tutte le cose devono avere un loro significato. Non riusciamo a sopportare l’idea che le cose non abbiano alcun senso. L’arbitrarietà, la casualità riusciamo ad accettarla come eventualità, eccezione, non come regola di vita.

Con la ragione giungiamo alla libertà, alla felicità poiché essa genera emozioni che si impongono sull’angoscia, sulla disperazione, sul male. La ragione, per Spinoza, ci rende felici ma ha necessità dell’emozione per affrancarsi dalla negatività, dall’imperfezione.

Ma, per rimanere in tema all’argomento in oggetto, qual è il rapporto, se c’è, nel razionalismo tra la ragione, il pensiero razionale e l’emozione? E, ancora, quale è in particolare la tesi di Spinoza?

Gli stoici e gli epicurei sostenevano la necessità di eliminare le emozioni per vivere in modo sereno e razionale. Per Platone la perfezione morale ed etica si fonda sul prevalere della ragione sulle passioni e i desideri, aspetti potenzialmente pericolosi della psicologia umana. Con Aristotele si supera la dicotomia platonica stabilendo una relazione tra ragione e passioni, sostenendo che alcune sensazioni e reazioni fisiche sono causate dalle nostre convinzioni e dal nostro modo di vedere ed interpretare il mondo e le persone che ci circondano.

Nel tempo si sono succedute diverse tesi che sostenevano il primato della ragione sulle emozioni; limitando, controllando le emozioni o da loro affrancandosi. Talune tesi danno alle emozioni un ruolo importante e necessario per il corretto agire umano, ma comunque complementare. Fino a Hume che, addirittura, sostenne la priorità delle emozioni. La ragione, secondo il filosofo scozzese, deve essere al servizio delle emozioni e delle passioni e non il contrario.

Un lungo percorso che dalle tesi platoniche giunge al razionalismo, a Cartesio e alle teorie di Spinoza. Teorie, queste ultime, che sanciscono l’inizio degli studi scientifici sulle emozioni.

Nel XX secolo si è infatti affermato lo studio del comportamento, ovvero l’insieme di tutte le attività manifeste dell’organismo così come tutti i processi mentali (percezione, attenzione, memoria, apprendimento, emozioni), in relazione alle sue basi biologiche, strutture e processi corporei appartenenti in particolar modo al sistema nervoso. Si riconosce quindi un unicum tra materia e spirito già presente nel pensiero spinoziano.

In tal senso, Spinoza si oppone alla divisione tra mentale e corporeo implicita nel dualismo cartesiano, in nome di una concezione filosofica, etica e politica secondo la quale un Dio, non identificabile con nessuna religione, è immanente al mondo e all’uomo.

Lamberto Tagliasacchi

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