Il Tempo- prima parte

Il Tempo- prima parte

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La nozione di tempo è uno di quelle che, apparentemente, sembrano semplici da definire ma, come già scrisse Sant’Agostino, quando proviamo a spiegarlo il concetto di tempo si mostra sfuggente e difficile da esprimere. Non deve stupire se, prima che venisse formulata una definizione da Platone e Aristotele, la concezione era frammentaria e il tempo della natura, ciclico e rassicurante, non era messo a confronto con quello umano, imprevedibile ma determinato.

Dobbiamo attendere “l’oscuro” Eraclito (535-475 a.C.) per avere una visione onnicomprensiva nella quale il tempo delle stagioni è visto in analogia con quello interiore. Il Filosofo di Efeso scorse in questo modo lo specchio dell’infinita potenzialità della natura nell’inesauribile creatività dell’anima umana.

Successivamente Aristotele (384-322 a.C.) definì il tempo come il numero del movimento secondo il “prima e il poi”: senza movimento non ci sarebbe neanche il tempo che deriva dal primo ed è un suo aspetto. Perciò, come il movimento, il tempo è eterno.

Per Platone (428-348 a.C.) il tempo è “l’immagine mobile dell’eternità”: il tempo riproduce nel movimento, sotto la forma del periodo dei pianeti, del ciclo costante delle stagioni o delle generazioni viventi, quella immutabilità che è propria dell’essere eterno.

Per quanto sia possibile rinvenire nella storia del pensiero diversi e originali concetti sul tempo, i più innovativi sono comparsi ai primi del ‘900. Si pensi ad esempio al concetto del tempo formulata da Heidegger, secondo cui il tempo è la modalità dell’esserci dell’essere, ovvero è il modo non solo attraverso cui l’esserci conosce il mondo, ma sceglie di esistere nel mondo.

Ma la concezione nuova e probabilmente più sconvolgente, oltre ad essere tutt’ora consistente, è la tesi che compare nel 1908 con la pubblicazione di un saggio del filosofo inglese John McTaggart nel quale veniva presentato l’argomento, poi noto come “paradosso di McTaggart”, con il quale si tentava di dimostrare l’irrealtà del tempo.

Già Spinoza, prima di lui, intendeva il tempo come illusorietà, mero ente di ragione che serve solo come misura della durata, la quale è invece il modo in cui le cose finite esistono. Con McTaggart è impostato un ragionamento logico e rigoroso con il quale si prova, attraverso una sequenza di deduzioni di tipo sillogistico, che il concetto di tempo implica una contraddizione.

Il paradosso di McTaggart si dispiega con la presentazione di due concetti definiti serie A e serie B. Il primo consiste nella relazione che ogni evento ha con un punto mobile che definiamo presente. Il secondo è l’ordinamento cronologico degli eventi determinato dalla posizione relativa di ognuno rispetto agli altri (venire ‘prima’ o ‘dopo’ qualche altro evento).

La serie A è dinamica, continuamente soggetta al cambiamento, perché ciò che è presente oggi diventa passato domani e ciò che è passato si allontana sempre più dal presente mentre ciò che è futuro viceversa gli si avvicina fino a confluirvi. Invece la serie B è statica, le relazioni cha la costituiscono sono immutabili: niente può alterare il fatto, ad esempio, che il figlio sia stato generato dopo il padre.

Per McTaggart, la serie B (cronologia) dipende necessariamente dalla A (relazione col presente) e non può dirsi autenticamente temporale senza quest’ultima, perché il cambiamento è essenziale per il tempo. Da queste premesse McTaggart giunge alla seguente conclusione: il tempo implica il cambiamento; la spiegazione del cambiamento richiede esistenza della serie A ma non è possibile dare una descrizione coerente della serie A, pertanto, il tempo è irreale.

Lamberto Tagliasacchi

Voce Andrea Di Cosola

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