“La tragedia non è morire, ma dimenticare.”

“La tragedia non è morire, ma dimenticare.”

Questa frase è scritta all’ingresso del museo dedicato al protagonista del racconto di oggi: il Grande Torino.

Il grande Torino 

Come avrete intuito oggi non ci focalizziamo su un protagonista inteso come singolo, ma su una squadra che è stata a mio personalissimo modo di vedere LA squadra di calcio.

Probabilmente rispetto a dinastie seguenti come Barcellona, Juventus, Real Madrid, Ajax a livello tecnico potrebbe non esser la migliore in assoluto, ma per il significato che ha avuto, l’epoca in cui ha vissuto e ahimé anche la fine avuta rimane nell’olimpo degli dei.

Siamo negli anni della seconda guerra mondiale: lo sfondo è composto da distruzione, fame, tensione e morte.

In questo scenario a Torino sponda granata si sta avviando un processo di ricostruzione (sportiva) miracolosa.

Sotto la guida del presidente Novo inizia a prendere forma il Grande Torino, che diventerà l’orgoglio dell’intera nazione, la squadra più forte al mondo.

I meriti sportivi, seppur numerosi, non rendono grazia all’importanza di questa squadra che ha preso una nazione distrutta e bistrattata (non solo in ambito sportivo) e le ha ridato fiducia.

Ha ridato all’Italia un credo, quello spiraglio di possibilità di poter tornare a valere qualcosa.

Al di là dei singoli (fortissimi) giocatori che compongono la squadra, vi è un concetto di sottofondo nel sangue di ognuno: reciprocità.

Per reciprocità intendo la capacità del singolo individuo di portarsi all’altro (in questo caso compagno di squadra) senza avere nessuna “pretesa” di ottenere qualcosa in cambio. È un connubio di fiducia altrui, fiducia in se stessi e soprattutto di bene; ogni singolo crea un ponte verso l’altro e tutti questi ponti creano un enorme rete.

È la base della pace e soprattutto dell’amore.

Questo era il Grande Torino in campo; un gioco mai visto prima, una potenza e supremazia di cui non si capiva l’origine capace di segnare sei gol in 14 minuti oppure di giocare una partita silenziosa e noiosa fino al suonare della tromba dello stadio Filadelfia (stadio di casa del Torino) e ingranare le marce segnando immediatamente e vincendo le partite.

Vinse 5 scudetti (di cui 4 in fila) e una coppa Italia.

La forza di quei giocatori nel club, li portò anche a vestire la maglia della nazionale e a formarne un nucleo portante; il momento più bello ha luogo l’11 Maggio 1947, proprio a Torino dove la nazionale sfidava l’Ungheria. A rappresentare la maglia azzurra ci sono 10 giocatori granata. Vinsero 3 a 2.

Giocare in casa propria, con i propri compagni e rappresentare in maniera ufficiale la nazionale per dieci undicesimi…. beh solo il Grande Torino.

nazionale italiana

 

L’unica cosa che ha potuto fermare la cavalcata del Grande Torino è il destino.

Il 4 Maggio 1949, di ritorno da una partita a Lisbona contro il Benfica, il cielo su Torino era grigio, la nebbia avvolgeva la città e tutti colli circostanti.

L’aereo su cui viaggiavano i giocatori, lo staff tecnico, la dirigenza e alcuni giornalisti si schiantò contro le mura di sostegno della basilica di Superga a causa della visibilità nulla. Morirono tutti sul colpo.

Lo shock nazionale e mondiale fu incredibile, il tempo si fermò.

A Superga ogni anno viene ricordata la squadra di calcio più forte di sempre. Una squadra in grado di superare ogni barriera, ogni tifo di parte. Una squadra orgoglio di tutti, simbolo di rinascita dopo anni di guerra.

Una squadra che è leggenda.

Una squadra che non sarà MAI dimenticata.

 

“Solo il fato li vinse.”

 

Nessun altro.

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