Il cervello che cambia se stesso
di Alessandra Fais (medico, consiglio scientifico UPE)
Prendo in prestito questo bellissimo titolo dell’opera di Norman Doidge (psichiatra, psicanalista e scrittore canadese) sulla neuroplasticità, che inizia ad aprire le conoscenze più attuali delle neuroscienze alla vita di tutti i giorni.
Fino a non molti anni fa era opinione comune credere che il cervello, in quanto macchina straordinaria e altamente complessa, non fosse modificabile e le sue cellule, i neuroni, detti anche “cellule perenni”, fossero destinati a una progressiva ma inesorabile morte, più accentuata dopo i venticinque anni di età. A sostegno di ciò l’impossibilità di studiare il cervello in vivo a livello microscopico e l’evidenza clinica che dimostrava quanto fossero rare le remissioni complete dei sintomi in pazienti con danni al sistema nervoso centrale. Nel 1998, una svolta decisiva la diede lo svedese Peter S. Eriksson pubblicando sulla prestigiosa rivista Nature Medicine uno studio (1) che dimostrava come anche le cellule nervose potevano essere soggette al fenomeno della mitosi; i risultati, in seguito replicati in varie parti del mondo, furono osservati soprattutto a livello dell’ippocampo e delle strutture periventricolari dell’encefalo.
Il cervello continua dunque a rigenerarsi anche negli individui adulti ricevendo ogni giorno una nuova provvista di migliaia di cellule nervose appena formate.
Nel 1999 la scoperta annunciata su “Science” da due neurobiologi di Princeton, Elizabeth Gould e Charles Gross :un flusso di nuove cellule ancora indifferenziate migra quotidianamente da una zona al centro del cervello, i ventricoli cerebrali. E si dirige, con un viaggio che dura alcuni giorni, verso l’area più esterna del cervello, la corteccia cerebrale, la regione più “moderna” e complessa, da cui dipendono le funzioni intellettuali superiori e che è cruciale nella formazione delle memorie, del pensiero e dell’identità personale.
Nel corso del viaggio i neuroni maturano, e una volta giunti nella corteccia creano nuove connessioni con le altre cellule del cervello. Il quale, di conseguenza, “cresce” e si modifica giorno dopo giorno, anziché rimanere con gli stessi neuroni per tutta la fase adulta della vita. (2,3,4)In effetti dal 1998 in poi ci fu una vera e propria rivoluzione delle teorie sul cervello che aprì la strada ad un modo completamente nuovo di spiegare il funzionamento della mente, oltre a presentare nuove opportunità per combattere malattie degenerative come il morbo di Parkinson o di Alzheimer. A questo punto si rese necessario rivedere alcune posizioni scientifiche sulla funzionalità cerebrale e, in particolare, cominciò a farsi strada l’idea che la modificabilità cerebrale non fosse poi un concetto così assurdo. Finalmente, alle soglie del terzo millennio, si è confermato che il sistema nervoso è in grado di modificare la propria struttura in risposta sia agli stimoli provenienti dall’organismo sia a quelli provenienti dall’ambiente esterno.
La plasticità cerebrale è il risultato di due fenomeni, lo sprouting(5) e la neurogenesi. Il primo significa gemmazione o germogliazione e si riferisce allo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche tra i neuroni; il secondo, invece, implica la possibilità che si possano formare nuove cellule nervose o che quelle silenti possano diventare attive.
La scoperta più interessante degli ultimi anni è stata sicuramente la dimostrazione che il pensiero, l’apprendimento e le esperienze di vita in genere sono in grado di apportare delle modifiche strutturali al cervello agendo direttamente sull’espressione genica.
Eric Kandel fu il primo a dimostrare che quando impariamo qualcosa di nuovo i nostri neuroni modificano la loro struttura creando nuove connessioni sinaptiche: i cambiamenti a breve termine avverrebbero semplicemente attraverso modificazioni biochimiche temporanee a livello delle terminazioni sinaptiche, mentre i cambiamenti a lungo termine implicherebbero un processo decisamente più complesso in cui la protein-chinasi A dal corpo della cellula passerebbe all’interno del nucleo favorendo l’espressione di alcuni geni; i geni attivati produrrebbero a loro volta altre proteine che, modificando la struttura, favorirebbero la crescita di nuove connessioni sinaptiche(.6-7-8-9-10-11)
Per ottenere un cambiamento tangibile nella nostra vita, non dobbiamo far altro che ricollegare le nostre cellule nervose in nuovi circuiti elettrici.
E oggi conosciamo anche i percorsi biochimici che da fattori di crescita come il BDNF (Brain Derived Neurotrofic Factor) attraverso la proteina di regolazione genica Nrf2 governano la neuro plasticità (12) (13) (14)
La Neuroplasticità è una caratteristica universale degli esseri umani. (15)
Essa è il substrato neurofisiologico del cambiamento, in risposta alle nostre esperienze e ai nostri pensieri. Se non potessimo cambiare le connessioni sinaptiche del nostro cervello, non potremmo cambiare in risposta alle nostre esperienze, e saremmo condannati ad essere in eterno l’effetto delle nostre predisposizioni genetiche, in altre parole, saremmo sempre uguali a noi stessi.
Cambiare si può!
Buona evoluzione a tutti!
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