Come il pregiudizio influenza l’ascolto musicale

Il pre-giudizio ci influenza a tal punto da impedirci di godere a pieno delle esperienze che viviamo, di comprendere cosa vuol dirci una persona… di accorgerci che nella metropolitana sta suonando un grande artista…
Uno studio pubblicato su “Scientific Reports” mostra come il pregiudizio rispetto all’esecutore di un brano musicale, influenza il gradimento del brano stesso.

Buona Lettura


 
Nel 2007, Joshua Bell, un violinista di fama internazionale, si mise a suonare con uno Stradivari nella metropolitana di Washington. E non fu degnato nemmeno di uno sguardo dai passanti distratti.

È questo uno dei tanti esempi che dimostrano come l’aspettativa e i pregiudizi plasmano la percezione, influenzando addirittura il funzionamento del cervello. Una nuova conferma del fenomeno viene ora da una sperimentazione in laboratorio condotta da ricercatori dell’Università dell’Arkansas, dell’Arizona State University e dell’Università del Connecticut e descritta sulle pagine di “Scientific Reports”. Gli autori hanno concluso che la semplice informazione su chi sta eseguendo un brano musicale – a prescindere che sia vera o falsa – basta a cambiare il modo in cui il cervello risponde alla musica.

 

Nello studio sono stati coinvolti 20 soggetti senza una formazione in campo musicale, impegnati ad ascoltare otto coppie di brani musicali da 70 secondi mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale.

Questa tecnica di imaging cerebrale consente di evidenziare le aree del cervello che si attivano mentre il soggetto è impegnato in un compito. In questo caso, le aree di interesse erano la corteccia uditiva e le regioni cerebrali coinvolte nel piacere e nella ricompensa, ma anche quelle che sovraintendono al controllo cognitivo.

Prima del test, ai volontari veniva spiegato che uno dei due esecutori della coppia di brani era uno studente di piano al conservatorio e l’altro era un pianista di fama internazionale. Durante il test le attribuzioni delle esecuzioni venivano scambiate, in modo da essere sicuri di studiare l’effetto dell’informazione data ai partecipanti e non della performance dell’esecutore. Al termine dell’ascolto i soggetti dovevano classificare il gradimento del brano su una scala da 1 a 10 e indicare quale dei due esecutori avevano preferito.

I ricercatori hanno poi confrontato le scansioni cerebrali dei soggetti che preferivano i brani eseguiti dal pianista di fama con quelle dei soggetti che preferivano quelli eseguiti dallo studente di conservatorio. Hanno così scoperto che quando un soggetto preferiva il professionista, l’attività della corteccia uditiva primaria aumentava in modo significativo, così come quella delle regioni associate al piacere e alla ricompensa.

Quest’attività iniziava quando i partecipanti erano informati che si trattava di un professionista, cioè ancora prima che la musica iniziasse, e rimaneva costante durante tutta l’esecuzione. Gli autori hanno quindi ipotizzato che fosse l’informazione a stimolare il soggetto a una maggiore attenzione, influenzando così l’ascolto del brano sulla base di un pregiudizio.

Diversi i risultati riscontrati nel cervello dei soggetti che preferivano l’esecuzione dello studente di conservatorio. Quando ascoltavano il brano eseguito dal professionista di fama, le scansioni di risonanza magnetica mostravano una attività più elevata nella regione correlata al controllo cognitivo e al pensiero deliberativo, cioè legato alla decisione, per tutto il corso del brano. Hanno anche scoperto che questi soggetti avevano una maggiore densità di connessioni tra le regioni cerebrali coinvolte nei processi di ricompensa e quelle legate al controllo cognitivo.

“I dati raccolti dimostrano fino a che punto fattori che non c’entrano nulla con le note, come le informazioni sugli esecutori, possono influenzare ciò che riusciamo a sentire e come valutiamo la prestazione musicale”, ha spiegato Elizabeth Margulis, professoressa di teoria musicale dell’ Università dell’Arkansas e coautrice dello studio.

 

 

Articolo tratto da “Le Scienze” del 23 aprile 2018

Di seguito il link allo studio citato nell’articolo: https://www.nature.com/articles/s41598-018-24528-3

 

 

 


unsplash-logoUriel Soberanes

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